Trekking a Monte Maccione

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Olihena, Sabato 24 Gennaio 2004…
L’umana, l’elfo e lo hobbit durante la ricca colazione al “Gran Mangione” La Compagnia di eroi era composta da quattro persone: Aisac Currecùrre, grasso hobbit della Contea del “Bordo Rosso”, buon camminatore ma sempre molto affamato…

Han-drèha Shadér, elfo iperattivo membro di una nobile casata di guaritori; Màgdlen Helise Johanne Fraiderike, coraggiosa umana proveniente dal lontano reame di Tempus Pausania, nel freddo nord e infine la mezza elfa Bhar-Bhar-ah, cugina dello hobbit e impavida viaggiatrice.

La prima tappa, nella fredda notte del 24, sarebbe stata il tanto agognato rifugio del “Gran Mangione“, ma una brutta notizia accolse gli eroi al loro arrivo alla locanda: una recente incursione di Orchetti affamati aveva depredato il luogo di tutto il cibo commestibile, per cui tutto ciò che poteva essere offerto era un giaciglio per la notte e delle padelle vuote.

Aisac, deluso dalla notizia, pensò che comunque ciò non era un problema, dato che avrebbe pensato lui a riempire (e successivamente svuotare) tutte le padelle che gli potevano essere fornite…

La compagnia decise, dopo aver montato l’accampamento per la notte, di andare a mangiare nel vicino villaggio di Olihena, abitato prevalentemente da uomini dediti alla pastorizia e al consumo di vino nero.

La taverna hobbit di “Cenceddu e Killeddu” li rifocillò con un’ottima pietanza di cui ora non ricordo il nome, composta da un pane piatto e tondo ricoperto di ingredienti vari a scelta dell’avventore, e cotta dentro un forno a legna realizzato ad arte… il tutto annaffiato da un ottimo vino nero della zona, che sembrava non finire mai.

Tornata al “Gran Mangione”, la compagnia si sistemò nelle tende e si apprestò a trascorrere la gelida notte.
In una tenda si sistemarono lo hobbit insieme a Magdlèn Helise, nell’altra i rappresentanti della razza immortale: Bhar-Bhar-ah e Han-drèha Shadér. Quest’ultimo impressionò subito la compagna di giaciglio dormendo sollevato a trenta centimetri dal suolo grazie a qualche suo potere elfico…

La mattina dopo l’umana e lo hobbit prepararono, non senza profondi disaccordi sul metodo, una sostanziosa colazione a base di uova e speck… evidentemente i costumi dei loro paesi di provenienza dovevano essere assai differenti. Un povero cane randagio, scampato alla razzia orchesca della scorsa notte, elemosinava i resti del cibo scodinzolando…

Rifocillatisi per bene, in modo da affrontare il freddo che sicuramente li attendeva in quota, gli eroi montarono sull’olifante addestrato di Han-drèha Shadér che li portò, oscillando paurosamente sui dirupi su cui si affacciava la stretta e tortuosa strada, fino al punto più alto da lui percorribile. Si trovarono così nella zona detta “Scala ‘e Pradu“, davanti ad un panorama mozzafiato di cui sicuramente anche le grandi aquile si sarebbero meravigliate: alle loro spalle, mille metri sotto, potevano scorgere il rifugio in cui avevano trascorso la notte e, ancora più sotto, il villaggio di Olihena e tutte le campagne circostanti fino ad arrivare alla antica città umana di Nùghoro da una parte e la temibile Orgoh-Sol-Ho, avamposto orchesco in questa zona della Terra de Mèsu, dall’altra…
Innanzi a loro invece videro ciò che li attendeva: un altipiano roccioso ricoperto da una rada vegetazione delimitato a nord dal monte detto “Punta Sos Nidos“, alto più di 1.300 metri, e a sud dall’imponente e innevato Monte Corrasi.

Decisero che la loro prima meta sarebbe stata proprio la vetta di “Sos Nidos” e, dopo aver legato l’olifante ed essersi ben avvolti nei loro pesanti mantelli da viaggio, si incamminarono lentamente verso nord-est, contrastando come potevano e a piccoli passi il gelido vento del nord che sferzava loro il viso.

L’unico che sembrava non soffrire della situazione e a cui pareva che il vento non desse problema alcuno era l’elfo, Han-drèha Shadér; questi infatti procedeva leggiadramente sulle rocce ghiacciate senza scivolare o incespicare, balzando dall’una all’altra con l’eleganza propria della sua razza e senza il minimo segno di affaticamento.

Accortosi del proprio vantaggio e per dare un sostegno morale ai suoi compagni, l’elfo iniziò a raccontare di antichi detti e leggende a lui noti per distrarre gli altri dalla fatica e dal freddo penetrante. Disse, tra le altre cose, che la montagna che scalavano in quel momento aveva quel nome perché anticamente era letteralmente piena dei nidi di uno spaventoso uccello: il “gipetto“. Pare che questo grosso rapace fosse solito sollevare in volo le proprie prede ancora vive, per poi lasciarle precipitare dall’alto sulle rocce, in modo che le loro ossa si spaccassero e lasciassero uscire il midollo, di cui l’uccello andava ghiotto…

La solitaria punta “Pedra Mugrones“, l’imponente “Cusidore” e l’affilata cresta nota come “Fruncu Nieddu” Accompagnati da questi strani racconti, la salita alla cima durò alla fine meno di quanto pensassero e nel giro di mezz’ora arrivarono alla piccola piramide di pietre che indicava il punto più alto del monte. Qui la vista spaziava ancora di più che nel punto in cui avevano lasciato l’olifante, in un panorama che ricopriva l’intero arco della rosa dei venti.

A Nord lo strapiombo scendeva fino alle terre pianeggianti e coltivate; girando lo sguardo verso Est si scorgeva la strada che da Olihena porta alla visibilmente lontana cittadella arroccata di Dorghàli, costeggiando prima “Sos Nidos”, quindi la solitaria punta “Pedra Mugrones” e a seguire l’imponente “Cusidore”, seguito dall’affilata cresta nota come “Fruncu Nieddu”, dove alberi solitari sembrano affacciarsi per osservare le pareti strapiombanti.

Ancora più ad Est lo specchio d’acqua del “Cedrino“, circondato da un’assetata vegetazione, è in prossimità dell’ingresso alla meravigliosa Valle di “Lanaitho“; uno scorcio di questa è visibile ruotando lo sguardo leggermente verso Sud-Est, riconoscibile dal terreno pianeggiante ricoperto di file ordinate di alberi, disposte a formare alcune coltivazioni e il viale che conduce fino al cuore della valle stessa, fino alla Grotta di “Sa Oche” e alla più maestosa “Su Ventu“. Verso Sud “Lanaitho” viene delimitata da una massicciata che la separa dal territorio di Dorghàli, in cui l’unico passaggio agevole sembra essere la grande spaccatura detta “Doloverre”.
La Valle, vista da “Sos Nidos”, era parzialmente nascosta prima da un piccolo scorcio della “Piana di Sòvana“, un altipiano che la sovrasta a diverse centinaia di metri di quota, e quindi da una piccola cresta rocciosa che attraversava l’altipiano in cui si muoveva la nostra Compagnia, dividendolo in due piccole vallette delimitate esternamente dal gruppo “Sos Nidos”, “Cusidore” a Nord e dal “Monte Corrasi” a Sud.

Gli eroi decisero che quella cresta sarebbe stata la loro prossima mèta e, dopo essersi bene impressi nelle loro menti quei magnifici paesaggi, iniziarono una veloce discesa da “Sos Nidos” procedendo verso Sud…
Non passò molto tempo che la vista da elfo di Han-drèha Shadér scorse, nella piana sottostante, un gruppo di animali in movimento, probabilmente spaventati dalla presenza inconsueta di umanoidi in quel territorio selvaggio.

Si trattava di bellissimi (e sicuramente buonissimi, pensò lo hobbit) “Mufloni dei Supramontes“… erano divisi in due gruppi, uno di 8, l’altro di 9 esemplari che correvano paralleli verso Ovest e tendendo ad incontrarsi in un prolungamento ideale della loro marcia. L’elfo comunicò ai compagni che sicuramente l’esemplare che chiudeva il gruppo doveva essere un maschio, nelle retrovie per controllare meglio tutto il branco…
Rimasero incantati ad osservare quei fantastici animali finché non furono tanto lontani da non essere visibili nemmeno ad Han-drèha Shadér, quindi ripresero la discesa fino ad intercettare la prima valletta, e qui decisero di discenderla percorrendone il gretto.

La discesa li portò in una piccola radura erbosa, impreziosita da una bella quercia dal tronco di almeno un metro di larghezza… La discesa li portò in una piccola radura erbosa, impreziosita da una bella quercia dal tronco di almeno un metro di larghezza sotto il quale qualche abitante della zona aveva eretto un piccolo muretto circolare. Il gruppo decise di sfruttare questo inaspettato riparo per rifocillarsi e bere al riparo dal vento gelido, che non accennava a calare.

Màgdlen Helise aprì la sua borsa da viaggio e tolse fuori ogni sorta di cibarie e bevande, sotto gli occhi impazienti di tutti e la bava sgocciolante dello hobbit… Cioccomandorlato dei territori nordici, una torta all’arancia e cacao simile al “Pan di Via” per l’energia che dava un singolo morso, una preziosa bevanda al mandarino e della frutta fresca della Contea. Anche gli altri contribuirono al banchetto aprendo i propri zaini e per almeno venti minuti l’unico rumore ad accompagnare quello del vento fu quello delle loro mascelle.

Lo schioccare delle labbra dello hobbit sancì la conclusione della pausa; Aisac si alzò e si lavò quelle sue mani pelose con dell’acqua gelida, per ripulirle dal succo appiccicoso della frutta.

Ricomposte le borse la compagnia di ventura riprese a seguire la piccola valle finché, dopo breve, intravidero poco più in basso una tipica “Pinneta“, abitazione degli umani dediti alla pastorizia nelle zone dei “Supramontes”.

La curiosità innata della mezz’elfa la portò immediatamente a deviare il percorso del gruppo verso la strana costruzione, spinta dal desiderio di esplorarne l’interno…

L’ingresso era chiuso da delle tavole e dei tronchi di ginepro, e ciò lasciava immaginare che dentro non ci fosse nessuno. La Pinneta era effettivamente disabitata e aveva anche un aspetto molto abbandonato, con della spazzatura lasciata in giro e dei contenitori di cibarie mezzi vuoti lasciati qua e là… Bhar-Bhar-ah, delusa da tanta indecenza, preferì andarsi a studiare i resti del ricovero per il bestiame, costituito da un muro circolare di pietre largo almeno 6 o 7 metri e dal soffitto (che doveva essere stato in legno) totalmente assente.

Lasciata la Pinneta il gruppo decise che era giunto il momento di arrampicarsi sulla cresta rocciosa di cui finora avevano costeggiato il lato sinistro. Salirono e proseguirono sempre verso Est, fino a giungere nel punto più panoramico ed esposto della zona; una vera manna per lo sguardo…

Il panorama della Valle da sopra Sovana. Sotto di loro infatti, a qualche centinaio di metri di distanza, potevano ammirare nella sua interezza la bellissima “Piana di Sòvana”, che avevano già intravisto da “Sos Nidos”. Questa volta la vista era però mille volte più appagante, tanto che rimasero in quel punto a rifocillarsi gli occhi per almeno mezz’ora. Volgendo lo sguardo da Est a Sud si poteva vedere una buona porzione della Valle di “Lanaitho”, l’ingresso su “Sòvana” dalla gola che sale dalla valle, il bellissimo pianoro ricco di vegetazione e grandi alberi di Sòvana stessa e, all’estremità Sud, l’ingresso alla bellissima “Badde Pentumas”, una gola molto serrata e dalle pareti altissime, che con una lunga serie di salti e cascate riporta alla valle sottostante.

L’occhio di Bhar-Bhar-ah fu invece immediatamente calamitato da uno strano cerchio bianco, posto fra un gruppo di alberi quasi al centro di Sòvana… la sua passione le permise di riconoscere, anche da quella distanza, un’altra “Pinneta” che a suo giudizio doveva essere bellissima… peccato non poter scendere fin laggiù per visitarla.

Impresse nella mente anche queste immagini, i quattro avventurieri si rimisero in cammino, questa volta per decidere la strada da prendere per fare ritorno all’olifante di Han-drèha Shadér. Non volendo ripercorrere la stessa via dell’andata, si diressero verso l’altra valletta, dalla parte opposta alla cresta centrale che avevano seguito.

In quel punto la piccola valletta sfociava anch’essa sopra Sòvana, aprendosi in un imponente precipizio di almeno 50 metri sulla piana sottostante. Dopo qualche perplessità, gli eroi decisero di aggirare il baratro ed entrare nella piccola valle un po’ più a monte, sperando di non incontrare al suo interno altri simili baratri, impossibili da risalire.

La sorte era dalla loro parte… il letto del torrente era infatti percorribilissimo, con solo alcuni punti di facile arrampicata, e ben presto si trasformò in un sentiero vero e proprio. Lo percorsero in tutta tranquillità, ed erano ormai quasi fuori dalla valletta quando Han-drèha Shadér, grazie alla sua proverbiale vista, notò sul costone sinistro un nuovo gruppo di Mufloni, e fece segno a tutti gli altri di fare silenzio.

Questa volta gli animali erano molto più vicini, e tutti ebbero modo di ammirarli in tutta la loro bellezza. Han-drèha Shadér disse che il maschio era sicuramente quello con le corna, e Aisac gli fece notare che probabilmente anche i Mufloni stavano pensando lo stesso di loro…

Lungo la strada del rientro trovarono delle vasche naturali piene d’acqua, utilizzate sicuramente dai pastori del luogo come abbeveratoi per il bestiame… Una volta scomparso anche questo gruppo, la compagnia si rimise in cammino giungendo in breve alla piana che avevano ammirato dal luogo di partenza, in cui avevano legato l’olifante. Lungo la strada del rientro trovarono delle vasche naturali piene d’acqua, utilizzate sicuramente dai pastori del luogo come abbeveratoi per il bestiame… infatti sulla sinistra, un po’ in lontananza, videro una costruzione in pietra che doveva appartenere a qualche pastore. Mentre vi si dirigevano per osservarla sentirono delle voci provenire da Ovest e notarono due uomini, anch’essi diretti all’ovile.

Proprio lì infatti i due gruppi si incontrarono e, in men che non si dica, erano tutti chiusi dentro a chiacchierare come vecchi amici del più e del meno, come si conviene a dei veri avventurieri.

Questi erano due ragazzi di Olihena, che si recavano spesso in quel posto per passare un po’ di tempo lontano dalla monotonia del villaggio… Dopo un po’ di chiacchiere e risate convennero tutti che fosse meglio rimettersi in viaggio, per non lasciarsi intirizzire dal freddo, che in quella costruzione in pietra e senza un focolare era particolarmente pungente.

Nel giro di un quarto d’ora i sei giunsero finalmente al vecchio Olifante, che sembrava aver fatto amicizia con le cavalcature dei due ragazzi. I quattro della compagnia offrirono del buon vino nero ai due locali e si rifocillarono con del formaggio e della carne secca lasciata nella bisaccia dell’Olifante.

Dopo altre belle chiacchiere e un grande scambio di conoscenze i due gruppi si accomiatarono, e i nostri eroi salirono sul fido Olifante di Han-drèha Shadér per riprendere la via di casa.

Isacco

 

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