Dopo varie ripetizioni di cosa viste e riviste, decido che è il caso di fare qualcosa che non conosco. Andare ad “esplorare” nuovi percorsi. Sfoglio la guida al torrentismo in Sardegna di Corrado e vedo il profilo di una forra che mi ispira. La avevo già notata ma dato che non ho mai sentito nessuno che me ne ha parlato la ho sempre snobbata, mi sa proprio che è arrivata l’ora di percorrerla. Deciso cosa fare rimane solo da decidere quando.
La sera stessa mi incontro con Francesca che mi dice: “è da molto che non facciamo un canyon, l’anno scorso in questo periodo ne avevamo fatti già tanti”. Ecco fatto deciso quando. Il giorno dopo avrei percorso la gola di Punta Camedda. Eravamo a casa per una cena tra amici e ho chiesto un ai presenti se avessero voluto accompagnarmi in quella uscita. Alla fine hanno aderito Claudia, Sergio, Fabrizio e Giovanni, oltre me e Francesca. Anzi in teoria ci sarebbe dovuto essere anche Giuma (con una M) ma i postumi della maratona di Parigi gli hanno consigliato di rimanere a casa.
Trovati i compagni non resta che verificare se il mio materiale è sufficiente per percorrere la gola. Controllo la verticale più alta; perfetto, le mie corde la coprono, la scheda mi avvisa che gli armi risalgono al 1993 e sono rimasti quelli della prima esplorazione. E che cavolo! Ok mi porterò dietro anelli e placchette del mio equipaggiamento del soccorso. Fettucce e maglie rapide ne ho, dovremmo essere in grado di uscire dalla gola senza rischiare nulla.
Tra vedere e non vedere mi porto su il trapano e due punte.
La domenica ci incontriamo al Motel per fare gli equipaggi, partiamo da Cagliari in orario e ci dirigiamo verso Gonnosfanadiga. Arrivati al paese seguiamo le indicazioni per il parco comunale e parcheggiate le auto nello spiazzo indicato dalla guida prendiamo il sentiero numero 102 che ci porterà al valico sotto Punta Camedda.
Partenza dalle auto ore 10:20. Iniziamo la salita, dapprima dolce e pia piano più ripida sino ad incontrare tornanti. Alla guida della carovana ci alterniamo io, Giovanni e quella “lamentina” di Francesca. Arriviamo su al valico, accaldati e sudati.
Guardiamo il panorama e ce lo gustiamo per qualche minuto. Ma vista l’ora decidiamo di continuare, rimaniamo intesi che appena troviamo l’attacco della gola mangiamo qualcosa. La fame sta iniziando ad avere il sopravvento su tutti noi.
Arriviamo sotto due alberi che all’inizio ci sono sembrati i due alberi”isolati” che indicano la partenza della gola. Mangiamo, ci vestiamo e iniziamo la discesa nel canalone. Io sto iniziando ad odiare lo zaino visto il contenuto. Trapano, due batterie, sacca d’armo e materiale vario. Francesca insiste sul fatto che per lei non è la gola giusta, io e Fabri iniziamo a farcene una ragione.
Blocchiamo tutti su, ci scarichiamo dal peso degli zaini e scendiamo in perlustrazione. Aveva ragione, accidenti e ora chi glielo dice? Risaliamo su, ma dallo stomaco ci risale anche il pranzo, bella sfacchinata inutile. Riprendiamo gli zaini e proseguiamo. Claudia va avanti e trova altri due alberi, questa volta siamo quasi certi sia il canale giusto, anche Francesca ce lo conferma, ormai è lanciatissima.
Arrivati al primo armo noto subito che le condizioni degli ancoraggi non sono delle migliori, iniziamo a sostituire cordame marcio. Vado giù, seconda sosta, è più una sosta che un vero e proprio armo, Chiodi da roccia e cordino. E vai altra sostituzione. Nel mentre che da su iniziano a scendere preparo una sosta tutta nuova dove il resto dei partecipanti si assicureranno, per continuare mi servono le corde che stanno utilizzando per calarsi. Raggiunto anche dall’ultimo ci ritroviamo appesi tipo acini al grappolo d’uva. Proprio carini, tutti colorati, chissà che spettacolo, visti da un ipotetico osservatore dal basso della gola.
Recupero le corde e le lancio, e che cavolo, già la seconda volta che il lancio mi riesce male. Vai a recuperare e rifilare tutto. Giunto alla partenza del terzo tiro devo sostituire ancora il cordino. Nel mentre il sole inizia a riscaldare, e molto.
Mentre maneggio fettucce e maglie rapide sento un suono, il tipico rumore che una persona assetata immagina di sentire quando ha molto caldo; l’aprirsi di una lattina di birra. Suono celestiale, bravo Giovanni, sei entrato nella mia speciale classifica dei bravi ragazzi.
Io, Sergio e Giovanni ci scoliamo la lattina e proseguiamo nella preparazione della sosta. Recuperata la corda la ancoriamo alla maglia rapida e mi calo sino all’armo successivo. Arrivo e noto subito che questo mi richiede maggiore “impegno economico”.
Le placchette sono appiattite sulla roccia da scariche di massi. Perfetto, recupero quello che mi serve e sostituisco tutto. Nel mentre gli altri mi raggiungono. Altro passaggio di corda e via giu. Man mano che proseguo sono sempre più sicuro che non troverò un armo che possa ritenersi un minimo sicuro. Proseguendo ne ho la conferma. Da li in poi saranno tutti da sostituire.
La gola nel mentre si fa sempre più verticale e inforrata. Commentiamo il panorama e non ci sembra cosi tanto brutta come la hanno descritta, nulla di esaltante dal punto di vista idrico, ma siamo in Sardegna. Panorama molto bello, buona successione di verticali, e tutte alte.
Più avanziamo e più “acqua” troviamo, è solo un minimo scorrimento ma il tanto che basta per bagnare completamente i pantaloni e la maglia, dovuto allo strizzarsi della corda nel discensore.
Arrivati al penultimo salto, ci rendiamo conto che stiamo un po’ sforando con l’orario, ma d’altronde visto il tempo per sostituire ogni armo non potevamo pretendere molto. Come se non bastasse nel tentativo di sostituzione di una placchetta completamente ossidata mi si spezza il bullone dentro il Roc. Ma vaffan***ooo mi ci voleva anche questo. Prendo il trapano, monto la punta e attacco a perforare la dura roccia granitica. Non serve a nulla. Trapano troppo leggero per questo tipo di cose, e punta da far cagare, non mi sono accorto prima che non era la migliore che avevo a casa. Provo col pianta spit. Come non detto, cerchiamo un masso, un albero, qualcosa per poterci avvolgere intorno un cordino, per doppiare il solo ancoraggio che sono riuscito a sostituire.
Arrivati all’ultimo salto si ripresenta la stessa situazione. Che noia, io ho terminato tutto il materiale d’armo, recuperiamo qualche metro di cordino da 8 e “invento” un armo su una pianta e da li ci caliamo. È l’ultimo salto della gola di Punta Camedda. Uno alla volta, scendiamo, ci liberiamo degli attrezzi e via a fare i bisognini. Metto qualcosa sotto ai denti, ho molta fame. Sono, ormai, le 19. recuperato tutto, ricomposti gli zaini, riprendiamo la via del rientro.
Io, Claudia e Francesca rimaniamo in coda, quest’ultima ci fa capire di quanta “pazzia è dotata”, parla con gli insetti che la circondano… PAURA!!!!
Arriviamo alle auto alle 20:20, dieci ore esatte dalla partenza. Nel mentre Marcellino ed Elisa, che ci aspettavano alle macchine dalle 18:00, sono andati via. Accendiamo immediatamente i cellulari e avvisiamo che siamo tutti sani e salvi. A questo punto non ci resta che dirigerci verso un bar per bere una freschissima birra, basta solo mettersi in auto ed andare. E cosi abbiamo fatto.
Bella giornata, voto 10, peccato per l’extra che si è dovuto pagare per riacquistare il materiale abbandonato in gola, ma alla fine ne è valsa la pena.
Erano presenti: Sergio Pillai, Giovanni Lonis, Claudia Mura, Francesca Manca, Fabrizio Manca, Davide Pili.