Finalmente, dopo avercela tanto decantata e fatta desiderare, viene organizzata un’uscita a Lovettecannas.
Dopo qualche intoppo (la scrivente che si reca all’appuntamento puntuale ma nel luogo sbagliato, e qualche ritardatario), uno sparuto gruppo parte alla volta di Lovettecannas.
I km da fare sono tanti, ma presto la squadra composta da Roberta, Francesco, Samuelenrico, Andrea, Sergio, Enrico e Valeria, Paolo e Cate e Fabrizio arriva a destinazione; fatto un breve spuntino, indossiamo l’attrezzatura, quando il cielo mette in atto ciò che già durante il viaggio minacciava: inizia la pioggia, che piuttosto intensa ci ricorda che le previsioni meteo erano tutt’altro che ottimistiche.
Maledetta pioggia non accenna ad interrompersi, a malincuore si accantona prudentemente il programma iniziale, meglio non entrare a Lovette.
Che sventura! Tanti km per rientrare a becco asciutto! No, c’è il piano B: a breve distanza era stato precedentemente individuato un “buco” inesplorato cui val la pena dare un’occhiata.
Infreddolito e carico d’entusiasmo, sotto la pioggia battente, il gruppo si muove alla sua ricerca; in breve siamo davanti a quello che per me è proprio solo un buco, è un cunicolo che si sviluppa in verticale, così stretto che in caso di scivolata di certo non si rischia di sprofondare nelle viscere ma di restarvi incastrati a mò di tappo. Alcuni massi ne restringono ulteriormente l’ampiezza, pur lasciando intravedere una prosecuzione, ma verso cosa?
La curiosità sale assieme alla voglia di entrare per primo, viene quindi individuato il membro che avrà tale onore, sarà il più esperto, il più affidabile, il più temerario? Quello sacrificabile. Vengo quindi sospinta verso l’ingresso, col cuore in gola e un unico pensiero in testa: “ ma che ci faccio qui? A Cagliari c’era il sole, a quest’ora potrei farmi una pennichella in spiaggia…”, tento di avere la meglio sull’angusto spazio, ma ben presto è chiaro che non sarò io a spuntarla, non vado oltre quanto visibile ad occhio nudo da fuori, ma cosa c’è dietro quel masso che non mi consente di proseguire?
Qualcun altro tenta nell’impresa, ma l’esito è identico. Dagli zaini spuntano massetta e scalpello, e si comincia con i lavori di disostruzione, a turno si smartella gli annosi massi.
Dopo un primo lotto di lavori viene mandata in avanscoperta Caterina, che con fare sicuro riesce finalmente a passare oltre quanto da noi già visto, che emozione vederla avanzare mentre ci descrive l’ambiente “ il cunicolo termina in un vuoto, non riesco a vedere granchè, c’è un terrazzino, poi un ambiente grande, misurerà 4×4 mt”, tripudio.
Ancora è solo Caterina a riuscire ad accedervi, si riprendono i lavori di smantellamento degli ostacoli, nulla può e deve fermarci ormai.
Improvvisamente dobbiamo abbandonare i lavori, veniamo infatti richiamati a prestare soccorso ad un amico del gruppo, la cui auto è stata fatta prigioniera dal fango, mentre questi guadava un ruscello nei paraggi.
Il gruppo al completo abbandona l’esplorazione, solo Fabrizio ed Enrico si attardano per “raccogliere l’attrezzatura e risistemare l’ingresso grotta”.
Presto ci troviamo di fronte ad un ruscello in cui un’auto, preoccupantemente inclinata di lato, ha le ruote sprofondate nel fango. Nonostante ripetuti tentativi il proprietario non era riuscito a liberarla dalla fatale morsa; entriamo quindi in azione, ognuno suggerisce una diversa soluzione, confondendo il proprietario dell’auto.
Ognuno si da da fare: ricerca di frasche da sistemare sotto l’auto, opere ingegneristiche volte a deviare il corso del ruscello e far defluire l’acqua da sotto l’auto; che spasso giocare col fango!
Dopo svariati tentativi, riconosciamo di non farcela da soli, fortunatamente troviamo una persona del posto che armata di pazienza e di fuori strada, riesce, con l’ausilio di una corda a tirar fuori l’auto dal pantano; grazie al nostro lungo lavoro quello che era un guado ora è una palude fangosa.
Ci si riavvia al buco, dove ritroviamo Fabrizio ed Enrico, che nel frattempo, lungi dal raggiungerci, hanno proseguito i lavori, e immediatamente ci informano di aver raggiunto l’ambiente (4×4) descritto da Caterina, ridimensionandolo in 1,70x 1,70, non perdendo occasione di schernire la povera Caterina.
Dopo un frugale spuntino finalmente, a gruppi di 3 si entra in quello che ormai è stato battezzato l’Abisso 4×4, in onore di Caterina ovviamente.
Finalmente arriva il mio turno, faticosamente seguo le istruzioni di Samuelenrico e Andrea che, già dentro, attendevano li raggiungessi: “… attenta, stai sulla sinistra, non scendere assolutamente sulla destra che rischi di cadere nel precipizio…” Altro che baratro, l’Abisso 4×4 consta di un angusto cunicolo di pochi metri, che termina in una sala (saletta rende meglio) di 1 x 1,70 mt.
Ormai è pomeriggio, la pioggia è cessata, si decide di andare a Lovette “ma ci stiamo pochissimo, 10 minuti, massimo 15”. Non ci speravo più.
Zaini in spalla raggiungiamo l’ingresso di Lovettecannas, che emozione, è di facile accesso, niente corde, facili arrampicate e disarrampicate, a fare da contorno meravigliose concrezioni. Sto già maledicendo le pile del mio casco, quando vengo informata che il particolare colore scuro delle rocce “assorbe la luce”.
Come detto procediamo per poco, ci fermiamo per pochi minuti durante i quali c’è chi ascolta i racconti di chi ha passato la scorsa estate in eplorazione proprio a Lovette e chi invece gioca a fare il geco arrampicandosi un po’ ovunque.
A malincuore e già insistendo perché si organizzi presto un’altra uscita a Lovettecannas abbandoniamo questa Signora che a detta di Sergio può essere permalosa e se non la rispetti si arrabbia.
Si rientra al campo, in cui troviamo amici che ci fanno trovare un fuoco già acceso, velocemente ci si cambia, si smangiucchia qualcosa, ci si saluta e tutti mestamente si risale in auto, direzione Cagliari, la giornata è proprio finita.
Lovettecannas è veramente una signora che sa farsi desiderare.
Roberta Mascia