Su Palu

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Ore 6 e mezza: appuntamento in sede. Ore 6:43: Samuele/Enrico, che ancora dorme, riceve una telefonata che si conclude: “Ok: tra dieci minuti-un quarto d’ora siamo a casa tua, fatti trovare pronto”

Ore 7 e qualcosa: si parte e il gruppetto, dopo breve consultazione con Enrica (il navigatore di bordo della macchina di Fabio) decide di di ignorarla e seguire l’itinerario alternativo proposto da S/E.

Il viaggio prosegue a velocità sostenuta nonostante un agguato dei CC, prontamente schivato dall’abilità di Fabio fino ad una colazione frugale a Barisardo.

Si riparte, le indicazioni di S/E sono precise a puntuali, le chiacchiere sui più svariati argomenti cullano il sonno di Roberta che, nonostante sia reduce da una serata mondana, ha ugualmente trascorso la notte in bianco per preparare le usuali, squisite torte dolci e salate.

Ore 10 passate da un bel pezzo: il gruppetto percorre spedito la Codula di Luna ammirando rapito l’imponenza del paesaggio, niente fa supporre che il solito S/E si faccia cogliere da insensati dubbi e costringa ad un dietrofront alla ricerca di un’inesistente altra strada per Teletottes.

Si ritorna fino al bivio sulla statale e si riparte lungo lo stesso percorso confortati dalle indicazioni di un autoctono per poi incontrare Sergio che informa di come gli speleologi (quelli veri) siano già entrati a Su Palu e accenna alle difficoltà di un’esplorazione “autonoma”.

Finalmente si raggiunge la piazzola al termine della strada, ci si traveste da speleologi, si mangiucchia qualcosa e, dopo aver ottenuto ulteriori indicazioni, si parte verso l’entrata della cavità.

Il sentiero si snoda agevole su un terreno a volte sabbioso sul quale son ben riconoscibili tracce recenti di scarponi che odorano di grotte trascorse: non c’è dubbio che la strada è questa tanto più che una scrofa, dal greto del fiume, lancia uno sguardo che dice “andate, andate” e guada verso l’altra sponda.

In cima ad una breve salita un albero sradicato mostra le sue radici e, a pochi passi sulla destra, un cancelletto giallo che chiude l’entrata di un buco: sulla roccia sovrastante la scritta “Su Palu” in vernice rossa, alla base il cancello lascia aperta una fessura sufficiente ad intrufolarsi.

Mentre Roberta e S/E trovano una nicchia dove sistemare gli indumenti per cambiarsi all’uscita, Fabio e Matteo cominciano l’esplorazione: dopo un breve cunicolo una stretta diaclasi armata; Fabio prende immediatamente il comando e, con professionale perizia, analizza lo stato delle corde e stabilisce le tecniche per affrontare il pozzo. Sotto la sua esperta guida, dopo tre brevi frazionamenti, sono tutti difronte al foglio racchiuso in cellofan che recita “Benvenuti a Su Palu”.

La grotta ora si apre in un ampia sala occupata da una frana di grandi macigni, ornata da colonne e concrezioni, lontano, nel buio, sfiorati dalla luce dei caschetti, ammiccano lucine bianche: sono i catarifrangenti che indicano la strada in andata (per quella di ritorno i catarifrangenti sono rossi).

A breve il fiume che scorre allegramente lungo un ampio cunicolo: c’è chi saltella per non bagnarsi nemmeno gli scarponi fingendo di non sapere cosa li aspetta di lì a poco.

Ed ecco che il cunicolo termina in una saletta ed il fiume si infila in un buco in basso sulla destra: è il famigerato pseudosifone che è impossibile attraversare senza bagnarsi quasi completamente.

La borsa che ha trasportato il bidone stagno col carburo, l’acqua, le batterie di ricambio e i pochi viveri è oramai squarciata sul fondo: si decide di lasciarlo là per portarsi dietro solo il bidone nella certezza di recuperare una sacca speleo dal gruppo che è già entrato.

Mentre i ragazzi temporeggiano spogliandosi delle magliette che lasceranno asciutte per il rientro e raccontando i filmati che hanno visto in rete, l’intrepida Roberta si scorda di autocommiserarsi e, rapida come geotritone in amore (e di un geotritone in amore saranno i suoi urletti mentre attraversa), si intrufola nel buco ed è presto dall’altra parte.

La segue, ma lui impreca come gatto scaraventato in una bacinella di acqua ghiacciata, Matteo.

S/E invoca reumatismi e acciacchi senili che, purtroppo, non ha, e finge di invidiare i suoi coetanei che ora sono senz’altro in pantofole a guardare il dopo-San Remo alla tv; solo il tempo perché Roberta e Matteo -evidentemente sballati dal gelo dell’acqua- rientrano a turno nel cunicolo per immortalare la loro uscita.

Rapidi passano anche gli altri due e si procede, fradici da strizzare, verso un nuovo ampio salone: enormi massi franati rendono, a volte, incerto il procedere, ma lo spirito di gruppo è saldissimo e riesce a far superare ogni difficoltà, a far recuperare ogni errore di percorso.

Un breve incontro con Roberto, Roberta e Luigi (gli speleologi, quelli veri), oramai sulla via del ritorno, che lasciano un sacco e impongono di seguire il rumore della cascata ignorando assolutamente la corda sulla destra.

E allora via, con brevissime deviazioni in rami laterali ricamati da eccentriche impossibili, via lungo scoscese vaschette sulle quali scivola acqua limpidissima, via lungo calate ricoperte da una sostanza biancastra e appiccicosa.

Via, sicuri,verso la meta, tanto più che una C con relativa freccia disegnata in punti strategici indica la strada per la cascata fugando ogni dubbio.

Via con il cuore che batte lento allo stesso ritmo dei millenni che hanno svuotato la montagna per costruire un mondo oltre il tempo.

Via guidati dallo rombo dell’acqua che si fa sempre più vicino.

Ed eccola, altissima da perdersi lassù nel buio dell’ignoto anelato, eccola, imponente nella sua colata calcarea ricamata da microvaschette, eccola, generosa di acqua cristallina.

Oramai è tardissimo e gli speleologi, quelli veri, stanno sicuramente aspettando fuori: bisogna tornare.

Ci si avvia rapidi, guidati dai catarifrangenti rossi, quasi in silenzio, assorti: la grotta, con le sue colate nocciola riconcrezionate di cannule candide, con le sue colonne fantastiche, con le sue pareti frastagliate di vele sonore ha oramai preso possesso dei loro aliti e li ha trascinati docilmente altrove dal loro quotidiano piccolo mondo umano.

Di nuovo il fiume, di nuovo la viscida materia biancastra, di nuovo i macigni, di nuovo le vaschette, di nuovo le frane, di nuovo il cunicolo allagato, di nuovo ancora il fiume; qualcuno scorda una bottiglietta d’acqua e torna indietro in un rito scaramantico di prossimo ritorno.

Ed, in fine, di nuovo fuori dove gli speleologi, quelli veri, attendono attorno al fuoco; tra le cime degli alberi, lassù in cielo, Orione conferma che, per quanto inconcepibilmente immensa, la natura intera, dagli abissi siderali fino alle profondità delle viscere della terra, può starci tutta nello sguardo del cuore degli uomini.

 

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