Si montano le catene e si và su dritti per una stradina di campagna verticale e innevata, che ci porta quasi in cima al monte Maccione (Oliena).
E’ il 24/01/2011, siamo Io e Verusca che reduci da altre due nottate in tendopoli a Teletotes, ci spingiamo verso un’altra minchiata, approfittando delle mie ferie.
Siamo partiti con l’intento di attraversare il Supramonte da Monte Maccione a su Cologone. Abbandonato la macchina ci dirigiamo con zaini affardellati verso la cima.
Erano anni che i miei piedi non affondavano nella neve, i miei comportamenti erano più vicini ad un bambino che ad un trentenne.
Una volta svettati i miei occhi si aprono davanti ad uno scenario da me inaspettato, non ero in Sardegna ma sulle Alpi, punte frastagliate e distese di nudo calcare e neve appagavano il mio sguardo. (TI CAGHI) Studiamo le carte IGM e ci dirigiamo verso un pinneto dove avremo passato la notte, dato a 40 minuti dal punto dove eravamo.
I 40 minuti si fecero un’ora e del pinneto niente, il sole dava il cambio alla luna e la progressione era resa complicata dalla neve che nascondeva spesso buchi (culate e affondi non erano rari) ci dividiamo, magari le probabilità di trovarlo raddoppiano…., un cazzo, io come al mio solito mi metto in una situazione della minchia su di una parete strapiombante perennemente ridossata dal sole quindi anche ghiacciata e contornata tra l’altro da piccoli crepacci.
Veru mi richiama all’attenzione con un grido, essendo più in quota di me si era accorta guardandomi che non stavo andando da nessuna parte, allora torno indietro a prendere lo zaino e con il fiatone la raggiungo. Il buio ormai era padrone e prendiamo la drastica “scelta” di improvvisare un campo sotto un leccio (unico albero in zona, esposto tra l’altro al maestrale). Piazziamo tende e picchetti, lego la stessa all’albero, costruisco su roccia un muretto con pietre per ripararci dal vento.
Dubbiosamente vado in cerca di legna. Poco più a valle trovo ginepri qualcuno di essi secco, inizio a strapparne i rami con mani ghiacciate e istinto di sopravivenza. Il ginepro non avendo forme regolari mi ha portato a costruire una specie di palla di legno abnorme impossibile da trascinare in quel territorio, quindi con tutta la forza che mamma mi ha dato la trago sulle spalle e con la testa vincolata alla sola visione dei miei passi mi dirigo verso la tenda direzionandomi vocalmente con la mia compagna di sventure, mi sentivo Atlante.
Arrivato alla tenda sposto la neve e accendo il fuoco sotto il muretto precedentemente costruito. Verusca era parzialmente congelata e dando priorità alle chiappe si lancia a 90° davanti alle fiamme, io invece tolgo scarpe e calzini e vaiii….. i piedi dritti nel fuoco, insensibili e fumanti piano piano riprendono vita, cazzo che freddo!!!
Non trovavo la perfetta distanza tra il fuoco, la neve e i miei piedi, o si congelavano o si bruciavano in ogni caso erano dolori. Un mini nuraghe costruito da Veru a noi retrostante andava a occultare fornellino e pentolino, finalmente qualcosa di caldo in pancia. Pane, formaggio, vino ed un sorriso da ebete ci accompagnano in questa notte sotto un freddo cielo stellato “stupendo”.
Un’altra volta ne ho la conferma, la montagna mi restituisce tutto ciò che perdo in civiltà. L’alchimia di acerbi luoghi eterni mi arricchiscono di speranza, muti e sconfinati a loro modo mi parlano dicendomi “Luca …. qualsiasi cosa ti accada io sarò sempre qua a regalarti l’immenso” (TI CHAGHI n°2).
La notte dormito poco a causa di una radice sotto la schiena che mi costringeva a girarmi a intervalli di 10 minuti. Aspettavo l’alba come un pischello la ricreazione. Eccola finalmente!! Dentro la tenda iniziano ad intravedersi cose, sagome sempre più dettagliate con il passare dei minuti. Esco dal sacco, mi sento sporco e infreddolito, apro la cerniera dell’apside e mi infilo gli scarponi ancora fradici, lasciando i talloni fuori e aspettando che la posizione eretta del mio corpo facesse il resto, completandone l’introduzione …ero tutto rincoglionito.
Una grattata di culo, uno sbadiglio e con la barrosia accumulata dalla sera prima vago in cerca di quel cazzo di pinneto. Non ci credo ….. era a cinquanta metri da noi!!!! Doo!!!! Pur con gambe inibite dal freddo corro verso di lui. Non era proprio una corsa…. sembrava più l’accelerata marcia di un orango tango che in posizione eretta spedito va a difendere il suo territorio. Comunque una volta entrato mi sono subito reso conto che anche se lo avessimo trovato la sera prima non avremo potuto pernottarci al suo interno, il posto era troppo piccolo e anch’esso ricoperto di neve pur avendo un tetto (misteri della vita).
Torno al campo faccio gli auguri a Verusca in occasione del suo compleanno, si fa colazione si smonta tutto e ci indirizziamo verso la punta Sos Nidos a 1348 metri. Lì della Sardegna ne eravamo i padroni, una leggera foschia faceva da coperta alle valli sottostanti fondendosi in lontananza con l’orizzonte, che libertà.
29/01/2011 Luca Amatore “Rambo”